TRA PREVENZIONE E CAUTELE: LE ORIGINALI INTERPRETAZIONI DEL TRIBUNALE DI ROMA SULLA DENUNCIA DI DANNO TEMUTO E SULL’ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO

ART. 1172 CC E ART. 696 CPC

Per quanto distanti tra loro per presupposti e finalità, nel Tribunale di Roma i due istituti a commento presentano un fattore atecnico che li accomuna e rende affini: la trattazione dei relativi ricorsi è affidata ad una sola sezione che, di conseguenza, è responsabile del gravoso compito di fissare il cd diritto vivente attraverso l’applicazione alla realtà delle fattispecie concrete dei principi astratti fissati dal Legislatore.

Senza addentrarci su temi che appartengono alla teoria generale del diritto in merito al concetto di norma giuridica, è sufficiente evidenziare che il “diritto” che permea soprattutto le difese negli atti giudiziari viene ricercato tra i precedenti giurisprudenziali piuttosto che tra gli insegnamenti dottrinari o tra i testi universitari; e, tra questi, per ovvie ragioni, assumono particolare rilievo quelli che provengono dall’Ufficio giudiziario presso cui pende la causa, in quanto espressione di convincimenti su fattispecie analoghe che provengono o dallo stesso Giudice incaricato di decidere sulla domanda o dal “collega della porta a fianco”

Il precedente “locale” quindi nella vita pratica dell’Avvocato rappresenta un elemento di particolare importanza in quanto, almeno potenzialmente, in grado di condizionare la difesa (dell’Avvocato) e la decisione (dell’Organo giudicante) – e, per questo motivo, è necessario che, seppur nel rispetto delle particolarità del caso concreto, nel decidere la fattispecie posta all’esame, il Giudicante rimanga sempre nel solco dei principi generali regolatori della materia che si ricavano dalle norme sostanziali e procedurali, in modo da assicurare quel minimo di “certezza del diritto” che anche nei paesi di civil law come l’Italia rappresenta un cardine fondamentale di ogni ordinamento giuridico

Venendo al tema in esame, ed iniziando dalla denuncia di danno temuto, questo istituto trova fonte normativa nell’art. 1172 cc ed è posto a presidio di una situazione di pericolo di danno grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del diritto della parte ricorrente, tendendo ad ottenere dal Giudice la pronuncia di un provvedimento (provvisorio) strumentale ad impedire e prevenire che il danno temuto dalla situazione di pericolo prospettata possa effettivamente realizzarsi.

Gli elementi imprescindibili di questo procedimento, quindi, sono:

• la sussistenza di una situazione di pericolo che potrebbe convertirsi in un danno concreto e, per questo, rende urgente l’adozione di un provvedimento strumentale;

• la prossimità  del danno che si teme di subire (il danno quindi non deve essersi ancora verificato, ma deve sussistere una situazione che lasci ragionevolmente intendere che il danno rappresentato sia imminente e possa prodursi da un momento all’altro)

• la gravità del danno prospettato (inteso come pericolo che il bene del ricorrente possa esser rovinato in modo irreparabile

L’istituto quindi non è invocabile allorquando difetti la denuncia di un pericolo di danno ma si rappresenti un danno già verificatosi (ad esempio, delle infiltrazioni già avvenute e concluse ) ovvero quando si prospetti un pericolo meramente teorico, carente cioè del requisito della prossimità (che, quindi, è da valutare in concreto almeno secondo i criteri del quod plerumque accidit) od un pericolo di danno privo dei requisiti di gravità

Come in tutti i procedimenti, alla parte che invoca l’ordine ex art. 1172 cc grava l’onere di fornire la prova della ricorrenza di tutti i menzionati presupposti e soprattutto di giustificare l’urgenza della misura (qualità imprescindibile che deve presentare il provvedimento come indispensabile per evitare che il danno, per cui si prospetti il pericolo concreto del suo avveramento, possa divenire irreparabile o difficile da prevenire con mezzi ordinari)

Nel caso di specie, il ricorrente aveva adito il Tribunale ex art. 1172 cc rappresentando l’esistenza di mere infiltrazioni in un box presenti da oltre un anno e denunciando, quale ragione legittimante la domanda ex art. 100 cpc, l’esistenza di “forti disagi” per l’impossibilità di usufruire in modo pieno del box – e muovendo da tali presupposti chiedeva al Tribunale di “determinare gli interventi da eseguire per l’accertamento delle cause delle infiltrazioni e l’eliminazione della denunciata situazione di danno” ordinandone l’esecuzione ai danni della parte convenuta (il Condominio di cui faceva parte l’immobile sovrastante ed il terrazzo di proprietà privata da cui, realisticamente, provenivano le infiltrazioni)

Nonostante la chiara dissonanza tra il petitum richiesto (accertamento tecnico finalizzato all’individuazione delle cause delle infiltrazioni) ed il procedimento azionato e l’oggettiva inesistenza dei presupposti della domanda (neppure affermati nel ricorso), il Tribunale di Roma ha prima disposto l’esperimento di una consulenza tecnica palesemente esplorativa, affidando al CTU il compito (tipico di un ricorso ex art. 696bis cpc) di descrivere lo stato dei luoghi, verificare le cause degli inconvenienti ed indicare le attività necessarie per la loro eliminazione e, poi, “in accoglimento del ricorso”, condannato il resistente alla “eliminazione delle cause dell’infiltrazioni”.

Per quanto è evidente, quindi, il Tribunale ha sostanzialmente confuso due istituti totalmente differenti (quelli di istruzione preventiva disciplinati dagli artt. 696 e 696bis cpc e quello di matrice cautelare regolato dall’art. 1172 cc) e disposto l’esperimento di un rito (l’accertamento tecnico preventivo) che poco si adatta ad una denuncia di danno temuto (che invece presuppone una prova “liquida” o quanto meno munita di adeguato supporto documentale di un pericolo di danno grave) ed emesso un provvedimento di condanna alla eliminazione delle cause delle infiltrazioni senza spendere neppure un rigo di motivazione in ordine alla concreta ravvisabilità dei presupposti legittimanti dell’azione (ripetuti in astratto) e senza valutare che, dalla relazione peritale dell’ausiliario, emergeva l’inesistenza di una situazione di pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa tale da giustificare l’adozione di una misura cautelare

Analoga confusione si registra in un’ordinanza resa dalla stessa sezione VII in ordine ad una domanda ex art. 696 cpc che il Tribunale, di sua sponde, ha mutato in una domanda ex art. 696bis cpc

Gli articoli 696 c.p.c. e 696-bis c.p.c. disciplinano entrambi strumenti di accertamento tecnico preventivo, ma hanno finalità e ambiti di applicazione differenti in quanto:

a) l’art. 696 cpc è finalizzato a conservare una prova che potrebbe andare perduta prima dell’inizio del giudizio (es. deterioramento di un bene, di uno stato dei luoghi, delle condizioni di una persona) e, quindi, al pari dell’altro strumento di istruzione preventiva regolato all’art. 692 cpc (assunzione di testimoni), presuppone il pericolo di alterazione o perdita della prova (che, quindi, tende a conservare) e la prova dell’urgenza di far verificare, prima del giudizio, uno stato, una qualità od una condizione

b) l’art. 696 bis cpc invece consente lo svolgimento di un accertamento tecnico senza dover dimostrare il pericolo di perdita imminente della prova poichè è precipuamente finalizzato ad evitare un processo e tentar una conciliazione tra le parti attraverso valutazioni estese alla verifica delle responsabilità di ciascuna delle parti

Mentre in caso, quindi, condizione imprescindibile per l’accoglimento della domanda è la prova della urgenza dell’accertamento o della ispezione giudiziale (che spetta in capo a chi presenta il ricorso), nell’altro caso l’accoglimento della domanda prescinde dal requisito dell’urgenza o del pericolo, non essendo necessario che la parte dimostri il pericolo di deterioramento o mutamento della situazione di fatto esistente

Nel caso a commento, il Tribunale era stato adito con un ricorso ex art. 696 cpc attraverso la prospettazione di un’ipotesi di inadempimento contrattuale agli obblighi derivanti da un appalto privato da cui, secondo la prospettazione avversaria, sarebbero residuati vizi e difformità nelle lavorazioni eseguite. La particolarità della domanda è che, nel ricorso, non si prospettava il rischio del perimento della prova o della possibile alterazione dello stato dei luoghi nel tempo occorrente alla introduzione del giudizio ordinario in quanto i vizi denunciati erano riferiti a lavorazioni su muri, pareti e pavimenti, insomma a vizi costruttivi e strutturali che, per definizione, ben avrebbero potuto esser accertati in sede ordinaria difettando in nuce il pericolo del loro mutamento

Il Tribunale di Roma, dopo una discutibile ordinanza interlocutoria contenente l’invito ad “indicare esattamente quali siano i vizi e le difformità di cui si chiede l’accertamento e cosa si intende per danni arrecati ed arrecandi all’immobile” e l’affermazione del principio che “nel procedimento ex art. 696 cpc il fumus non è richiesto, mentre il periculum, da intendere come pericolo di dispersione della prova, è ravvisabile nella prospettazione di un peggioramento delle condizione dell’immobile” (ndr situazione non prospettata nel ricorso introduttivo), ha accolto il ricorso e nominato il CTU affidando all’ausiliario il compito di verificare se le lavorazioni contestate erano o non state eseguire a regola d’arte

Al di la delle valutazioni in ordine alla necessità o meno del fumus (su cui esiste un orientamento contrastante), l’ordinanza di accoglimento introduce un elemento di incertezza tra gli operatori del diritto perchè, in definitiva, ha consentito lo svolgimento di un accertamento tecnico preventivo ex art.696 cpc nonostante la più totale assenza di elementi idonei a valutare l’urgenza dell’accertamento richiesto e nonostante la denuncia di vizi strutturali che, in quanto permanenti, avrebbe potuto esser accertati secondo gli ordinari tempi processuali

Gli strumenti processuali non sono mezzi liberamente intercambiabili da parte del Giudice che, essendo vincolato dalla domanda (artt. 99 e 112 cpc), non può andare oltre i limiti di essa e pronunciare provvedimenti che presuppongono l’esercizio di azioni differenti rispetto a quelle esercitate

In entrambe le ordinanze si è assistito ad una opinabile deviazione dalle linee tracciate dal Legislatore attraverso pronunce che, superando i confini dell’interpretazione della norma affidata al Giudicante, finiscono per rendere estremamente difficoltoso il compito di difesa della parte assistita che spetta all’Avvocato

In un caso, la carenza della affermazione di una situazione di pericolo di danno grave e prossimo alla cosa avrebbe dovuto condurre alla dichiarazione di inammissibilità della domanda per difetto dei presupposti (neppure enunciati nell’atto difensivo); e stessa valutazione avrebbe dovuto esser espressa nel caso del ricorso ex art. 696 cpc dal momento che, per espressa disposizione codificata, questo presuppone il requisito della “urgenza” e certamente non consente l’esperimento di consulenze tecniche finalizzate solo a verificare la conformità alla regola dell’arte della lavorazione eseguita

Queste decisioni minano alla base il principio, già di per sè labile, della certezza del diritto e, oltre a sminuire il valore del “precedente”, si pongono a contrasto con il principio costituzionale sancito dall’art. 101 comma 2 Cost. perchè in definitiva conducono all’emissione di provvedimenti o che vanno oltre la domanda avanzata o che riflettono strumenti processuali diversi rispetto a quelli azionati

Ad majora


5 Responses

  1. Approfondimento molto interessante, che evidenzia in modo palese una grave incongruenza procedurale, su cui il Legislatore sarebbe opportuno intervenisse quanto prima.

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